Superlega | 28 marzo 2023, 13:30

Caso Polo: Antidoping, cortocircuito italiano. Agli atleti nazionali vietato un ricorso al TAS

Alessandro Trebbi

Gli avvocati del centrale avevano ravvisato una mancanza di indipendenza istituzionale e operativa tra Corte d'Appello Antidoping e Nado Italia

Caso Polo: Antidoping, cortocircuito italiano. Agli atleti nazionali vietato un ricorso al TAS

MODENA - Il caso riguardante Alberto Polo è definitivamente chiuso. Lo ha stabilito l'ultima decisione del TAS, l'arbitrato con sede a Losanna che ha respinto, per carenza di giurisdizione, il ricorso presentato dal giocatore e dai suoi avvocati avverso la sentenza della Corte d'Appello Antidoping italiana che lo ha condannato a quattro anni lontano dai campi per la positività a meldonium e testosterone riscontrata a un controllo del 13 marzo 2021. La vicenda, almeno per ciò che concerne il lato sportivo, può dirsi allora così conclusa, con la condanna del solo Polo e l'assoluzione dell'allora preparatore atletico di Piacenza De Lellis e dell'allora medico sociale De Joannon

Come si è arrivati a quest'ultima decisione del Tas? Proviamo a spiegarlo per punti. 

PREMESSA SULLE NORME. Nel 2021 un nuovo regolamento WADA ha responsabilizzato ancora di più gli atleti, aggravando le loro posizioni anche senza l'intenzionalità o la premeditazione. In più c'è stata una modifica strutturale del processo, almeno in Italia: prima c'erano un primo e un secondo grado davanti al TNA, Tribunale Nazionale Antidoping, poi di norma l'appello si faceva subito al TAS, dato che il TNA fa parte di Nado Italia, istituzione che gestisce i controlli antidoping e al cui interno è presente anche la Procura Antidoping che formula le accuse. Il TAS era di fatto l’unico giudizio completamente indipendente  a cui gli atleti potevano rivolgersi. Per limitare la possibilità di ricorrere al TAS, procedimento per altro molto costoso, e per ottemperare alle richieste della WADA si sono creati percorsi giudiziari diversi a seconda che si tratti di un atleta nazionale o di un atleta di livello internazionale, tendenzialmente inserito nelle liste olimpiche. Il TNA è rimasto e tutti gli atleti vengono giudicati in primo grado lì. Quelli internazionali fanno direttamente appello al TAS, quelli nazionali, come Polo, a una Corte d'Appello che è stata inserita all’interno del CONI. Ciò viene reputato un grado di giudizio indipendente e così il ricorso al TAS è di fatto inibito. 

LE MOTIVAZIONI DEL RICORSO AL TAS. L'entourage di Alberto Polo aveva basato le proprie motivazioni su due elementi fondamentali: la prima riguardava l’assenza di indipendenza istituzionale e operativa tra Corte d'Appello Antidoping e Nado Italia che è responsabile della gestione dei risultati in materia di doping (nel cui ambito opera, peraltro, la Procura Antidoping, ovvero l'accusa). Tale indipendenza è espressamente richiesta dal Codice Mondiale Antidoping emanato dalla WADA, che impone che il grado di appello nazionale sia discusso davanti ad un panel indipendente. Questa indipendenza, nelle rivendicazioni degli avvocati di Polo, non c'è e anzi sono stati ravvisati diversi fattori di collegamento tra Nado e CONI che non consentono di ritenere completamente indipendente l’organo di appello che ha giudicato Polo: Nado Italia storicamente afferisce al CONI (il CONI in passato agiva come Nado per l’Italia), nei procedimenti di Polo davanti agli organi del sistema di giustizia sportiva la Procura Antidoping indicava un indirizzo email che rimandava al CONI, il TNA, anche se oggi è dentro a Nado, era stato costituito dal CONI (con la conseguenza, quindi, che sia il primo grado che il secondo grado fossero in qualche modo di derivazione CONI), i membri della vecchia seconda sezione del TNA sono gli stessi della nuova Corte di Appello Antidoping. Probabilmente in sede sportiva italiana si è optato per la scelta più logica e più comoda e cioè inserire questo nuovo organo di appello dentro l’istituzione CONI; risultano però alcune incongruenze ravvisate dallo staff del giocatore. 

In secondo luogo, nella sentenza di appello che condannava Polo a quattro anni di sospensione, c'era scritto che la decisione poteva essere impugnata al TAS secondo le norme vigenti e la tesi della difesa del giocatore era che tale indicazione creasse un legittimo affidamento circa la possibilità di ricorrere all'organo arbitrale di Losanna. Questa indicazione erronea è stata infatti censurata anche dal TAS, nella decisione. Al TAS però potevano ricorrere solo la WADA, il CIO e la Federazione Internazionale, nel caso. In più, un altro elemento attinente alla giurisdizione che ha portato al ricorso, era rappresentato dal fatto che Polo non avesse adito in prima persona la Corte di Appello Antidoping - il giocatore anzi aveva accettato la condanna inflitta in primo grado - che era stata invece attivata dalla Procura Nazionale Antidoping che aveva fatto ricorso avverso la sentenza di primo grado (solo due anni di squalifica per Polo). 

CONCLUSIONI. Il TAS ha respinto il ricorso, sottolineando il pregio delle questioni giuridiche sottoposte all’attenzione dell’organo arbitrale dai difensori dell’atleta ed accogliendone però parte della motivazione tanto da condannare la Nado a pagare 1/3 delle spese di arbitrato: è il riconoscimento di un margine di incertezza del sistema. Nel clan Polo c'è però il rammarico per non aver visto riconosciuta la competenza del TAS e per non aver quindi potuto discutere la vicenda nel merito e presentare al TAS tutti gli argomenti difensivi per arrivare ad una sensibile riduzione di una sanzione ritenuta sproporzionata ed ingiusta. 

Il giocatore potrà tornare in campo soltanto nella primavera del 2025. Ormai è un fatto assodato e non più modificabile. 

Domani le parole di Alberto Polo…

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