Olimpiadi - 12 agosto 2024, 10:13

Olimpiadi F.: Julio Velasco, il maestro del 'Qui e Ora' che ha trasformato il sogno in oro olimpico

PARIGI (Francia) - Gli "Occhi della Tigre" sono lucidi. Gli anni sono passati anche per l'eterno Julio Velasco, 72 primavere, oro olimpico centrato 32 anni dopo il primo tentativo a Barcellona 1992, quando era alla guida della squadra che tutti, per scimmiottare il mitico quintetto della NBA di allora — quello con Jordan e compagni, per intenderci — avevano definito il Dream Team.

Lui cercò di abbassare le attese definendo la sua squadra "Dreaming Team", ma il sogno (e le attese) si scontrò con il destino. Come quattro anni dopo, ad Atlanta 1996, dove l'oro olimpico si frantumò su un'asticella della rete al tie-break della finalissima, sempre contro l'Olanda.

L'uomo, un riferimento non solo dello sport italiano, in tutti questi anni ha anche lasciato per un breve periodo la pallavolo, transitando nel mondo del calcio: prima dietro le scrivanie della Lazio (alla corte di Cragnotti), poi dell'Inter (alla corte di Moratti) come dirigente. Tuttavia, il richiamo della foresta delle schiacciate è stato preponderante. Come sempre nella sua vita, anche in gioventù, quando negli anni Settanta la sua Argentina stava attraversando l'orrore della dittatura dei colonnelli, il dramma dei desaparecidos che toccò anche la sua famiglia. Lui era allenatore delle giovanili del Ferro Carril Oeste a Buenos Aires.

In Italia portò la sua rivoluzione, pacifica ma radicale: prima gli scudetti a Modena, poi la nazionale, con il varo di veri e propri cartelli d'intenti come la cancellazione della "cultura degli alibi", quel refrain per cui a pallavolo vincevano sempre gli altri per mille motivi diversi.

Tante le sue frasi celebri, tutte sempre destinate all'assunzione delle responsabilità: "Lo schiacciatore che sbaglia guarda il palleggiatore, il palleggiatore indica gli schiacciatori ricevitori; questi, voltandosi, non trovando altri a cui passare la colpa dell'errore, indicano le luci. Alla fine, se si sbaglia in attacco, la colpa è dell'elettricista".

Cambiò l'approccio alla pallavolo di un intero movimento. Quindi, le prime vittorie e gli "occhi di tigre". Un'epopea azzurra, ma anche il lancio del minivolley fino all'esperienza lampo con la nazionale femminile e il varo del primo concetto di Club Italia, una squadra federale dove le migliori giovani potevano allenarsi dal lunedì al venerdì su tecnica e tattica, senza l'impegno agonistico del weekend. Un suo progetto che, a distanza di decenni, oggi ha dato alla nazionale azzurra le principali protagoniste di questa storica vittoria.

Cittadino italiano dal 1991, passando da panchine di volley di club e nazionali, ispirando altre generazioni di fenomeni, più o meno piccoli, più o meno importanti anche in Argentina ("L'Argentina è la mamma, l'Italia è la moglie") e in Iran, alla fine è ritornato a casa, alla guida di una nazionale di pallavolo azzurra, per chiudere un cerchio con la sua storia.

Personaggio poliedrico, capace di ammaliare dirigenti d'impresa in corsi di aggiornamento che vanno sold out, così come entusiasmarsi al seguito delle nazionali giovanili di volley, un anno fa ha saputo leggere in anticipo su tutti il vento ed è tornato in campo, rimettendosi su piazza, trovando in un club come Busto Arsizio la sponda per riaccendere i riflettori sulla figura dello Julio Velasco allenatore.

Un faro che la Federazione ha saputo cogliere al volo per ridare vigore a una squadra che aveva solo bisogno di ricredere in se stessa, eliminando ansie, pregiudizi e tensioni.

Julio, fine psicologo e motivatore, ha dapprima calmierato le attenzioni su Egonu, attirandole su di sé, quindi, nei pochi mesi a disposizione, potendo insegnare ben poco, ha ridato serenità e tolto il superfluo. Non ha preteso di risolvere eventuali nodi del passato, puntando tutto solo su quanto le atlete dovevano fare in campo, "dove si va e si dà il massimo anche se non si è amiche".

Il mantra ai Giochi è stato uno solo: "Qui e ora". Diventato: "Qui, Oro".

Commenti