CONEGLIANO - Intervistata da Simone Fregonese nella seconda puntata del podcast delle Pantere, Asia Wolosz, palleggiatrice della Prosecco Doc Imoco Conegliano si racconta.
Come hai iniziato a giocare a pallavolo? Hai provato anche altri sport? "Da bambina ero molto dinamica e ho provato diversi sport a scuola: basket, salto in lungo, corse. Mi piacevano tutti. C’erano classi extra dedicate allo sport, e alla fine l’unico rimasto era la pallavolo. Ho iniziato partecipando a competizioni scolastiche e allenandomi. Poi grazie a mio fratello, che giocava tornei di beach volley in estate, mi sono avvicinata ancora di più. Io volevo sempre toccare la palla o giocare con lei. Durante uno di quei tornei, un allenatore mi notò e mi propose di iniziare a giocare. Avevo circa 10-11 anni".
Hai iniziato subito come palleggiatrice? "All’inizio, come succede nel mini volley, si faceva un po' di tutto. Ma quando sono passata al 6 contro 6, sono diventata palleggiatrice. C’era il sistema con due palleggiatrici: una giocava in prima linea e l’altra stava dietro. Non esisteva l’opposto come oggi".
In Polonia la pallavolo era già uno sport popolare? "Non molto, ma quando avevo 15 anni le ragazze vinsero due campionati europei consecutivi e quello fu un vero boom per la pallavolo femminile. Anche il maschile iniziò a crescere, soprattutto con l’arrivo di Raúl Lozano come allenatore, che portò i ragazzi all’argento mondiale. Quella crescita ha cambiato tutto, attirando molto più pubblico".
Quando hai capito che la pallavolo sarebbe diventata una cosa seria?
"Quando il mio primo allenatore tornò nella mia città e costruì una squadra. Vedevo mio fratello giocare in Serie A e volevo seguirlo. A 15 anni lasciai casa per giocare nel Club Polonia, un po’ come il Club Italia qui in Italia. Fu lì che capii che questa passione sarebbe diventata il mio futuro. I miei genitori mi lasciarono andare, e mi concentrai solo sulla pallavolo".
Avevi dei modelli di riferimento? "C’erano due palleggiatrici polacche che mi hanno ispirato: Magdalena Sliwa, che ha giocato a Vicenza ed era la regista della nazionale che vinse gli Europei, e Kasia Skorupa, con cui ho condiviso l’esperienza in nazionale. Kasia era molto innovativa nel suo modo di giocare e per me è stata un esempio, anche se all’inizio guardavo giocatori maschili. Prendevo spunti da tutti, senza seguire un solo modello".
La tua prima esperienza fuori dalla Polonia, a Busto Arsizio, com’è stata? "Venire in Italia era il mio obiettivo per crescere come giocatrice. Quando arrivò l’offerta di Busto Arsizio, accettai subito. La città mi era familiare perché ci sono tante aziende italiane, come la Fiat, e già conoscevo un po' lo stile italiano. Quella società era in un momento bellissimo, e anche se i risultati non erano gli stessi del passato, ho imparato tantissimo. Mi sono sentita subito come in famiglia".
Come nasce l’intesa con un attaccante? "Si parte guardando video delle nuove compagne per capire quale sia la loro palla preferita. Poi, nei primi allenamenti, si provano ripetizioni su ripetizioni finché si trova la palla giusta. Un palleggiatore deve essere come un computer: deve ricordarsi le preferenze di ogni attaccante, anche di chi entra dalla panchina. La comunicazione è fondamentale. Con giocatrici come Samantha Fabris, Paola Egonu e Isabelle Haak, l’intesa è arrivata col tempo, ma alla fine abbiamo costruito grandi cose insieme".
Che rapporto hai con le centrali? "I centrali sono fondamentali perché creano spazio agli altri attaccanti. Anche se toccano meno palloni, il loro lavoro a muro e in attacco è essenziale. Se il muro avversario salta con loro, metà del punto è già fatto. A me piace molto servire i centrali, e capisco quando devono sacrificarsi per la squadra".
Cosa ha significato il Mondiale per Club del 2019? "Quel Mondiale in Cina, e la rimonta contro il VakifBank da 14-9 nel tie-break, hanno cambiato tutto. È stata la partita più bella e importante della mia carriera e per la società. Dopo quella vittoria abbiamo capito che nulla è impossibile e che potevamo battere chiunque. La nostra mentalità è cambiata tantissimo".
Com’è stato vivere insieme alle compagne a Conegliano? "All’inizio ero diffidente: pensavo che vivere tutte nello stesso palazzo, con staff e allenatori, fosse troppo. Ma avevano ragione quando mi dissero: 'Vedrai, ti piacerà'. Questa vicinanza ha creato un gruppo unito. Durante il lockdown, per esempio, è stato un grande vantaggio: non eravamo sole. Sembrava un villaggio vacanze chiuso: allenamenti, esercizi al muro, pianola... tutto insieme. Questo legame si vede anche in campo".
Hai mai pensato di lasciare Conegliano? "Ogni anno ci penso, ma quando metto nero su bianco i pro e i contro, i motivi per restare sono troppi. Qui ogni stagione porta nuovi stimoli e nuove compagne con cui costruire qualcosa di speciale. Anche se ho ricevuto offerte migliori, non tutto si misura con i soldi. Qui stiamo facendo qualcosa di unico".
Ti senti un esempio per i giovani? "Sì, è una responsabilità importante. Possiamo ispirare tante giovani ragazze, non solo sul campo ma anche fuori. Essere un modello mi piace e credo sia un modo per restituire qualcosa al nostro sport".
Hai pensato a cosa fare dopo la carriera? "Qualcosa nella pallavolo lo farò, perché voglio dare indietro tutto quello che questo sport mi ha dato. Ho già delle idee in mente, ma spero di avere ancora molto tempo per giocare".
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