di Chiara Belcastro
MODENA - "Bata" Atanasijevic, opposto serbo dello Shanghai è recentemente tornato in auge per rumors di mercato che lo avrebbero visto corteggiato da Modena. Ma vorrebbe tornare in Italia per lottare per lo scudetto.
Partendo dagli ultimi rumors, nell’ambiente si vocifera di un tuo possibile ritorno in Italia, forse a Modena. Nel tuo futuro potrebbe esserci ancora spazio per il campionato italiano? "Confermo che c’è stato un contatto con la società circa un mese fa, ma ad ora non si è trovato l’accordo. Sicuramente il mio sogno è quello di tornare in Italia e avere la possibilità di giocare per la vittoria dello Scudetto. Vorrei dimostrare di essere ancora in grado di poter vincere in Italia e questa per me, dal punto di vista sportivo, sarebbe la motivazione più grande".
A proposito di Italia, 2743 sono i giorni che collegano la tua prima e la tua ultima partita in maglia Sir Safety Perugia. 8 stagioni, 3 Supercoppe italiane, 2 Coppe Italia e 1 scudetto. A livello sportivo che esperienza è stata?
"È incredibile pensare che io abbia passato quasi 3000 giorni con la maglia della Sir. È stato un periodo indimenticabile sebbene i primi anni siano stati abbastanza difficili. Arrivavo dall’esperienza biennale polacca con lo Skra Bełchatów e mi sono ritrovato a Perugia, dove non esisteva un vero e proprio movimento pallavolistico, in un palazzetto con 200 tifosi. La prima stagione siamo riusciti a regalare una bella sorpresa a chi ci seguiva raggiungendo sia la finale di Coppa Italia sia la finale Scudetto. Da quel momento è stato tutto un crescendo. Io sono cresciuto insieme a questa società ed è la più bella cosa che potesse capitarmi nella mia carriera. Sono arrivato in una società che non era ancora considerata tra i top club a livello internazionale e oggi è stata per due volte consecutive campione del mondo. Sono molto orgoglioso di tutto ciò".
Otto anni in un club sono davvero tanti… "Sono stati otto anni durante i quali la squadra cresceva insieme a me. Sono arrivato a Perugia che ero un ragazzino che non aveva ben percepito quanto la pallavolo fosse forte in Italia. Anno dopo anno, con molta sofferenza, tante finali perse, tante delusioni, tante insicurezze che mi fecero pensare se il percorso che stavo facendo fosse realmente la strada giusta per la vittoria di qualcosa di importante con la Sir, hanno però portato ai trofei più belli, quelli tanto desiderati. Purtroppo, l’unico trofeo che non siamo riusciti a vincere è stata la Champions League, sebbene avessimo raggiunto due semifinali e una finale".
Ci provi a spiegare cosa significa per te aver fatto parte di quel club? "Posso fare un esempio molto interessante che, secondo me, rispecchia perfettamente l’atmosfera: i primi anni non avevamo una panchina lunga e non avevamo la possibilità di tornare sul mercato quando accadeva che qualche giocatore si infortunasse. È successo che il nostro palleggiatore si infortunò e Simone Camardese (addetto stampa del club), dopo aver trascorso una giornata di lavoro in ufficio, veniva in palestra e si allenava con noi. Questo credo proprio sia un ottimo esempio per descrivere ciò che ha significato per me giocare per la Sir. C’era dedizione e voglia di mettersi a disposizione del club, per raggiungere tutti insieme gli obiettivi stabiliti ad inizio stagione. Tutti contavano, la squadra non era formata solamente dai 12 giocatori che si allenavano e giocavano, ma tutti coloro che gravitavano intorno a quel mondo erano parte di essa. Con tanto amore, tanti sforzi e tanta forza da parte di tutti, specialmente nei primi anni, siamo riusciti a costruire qualcosa di bellissimo. A questo team ovviamente appartenevano anche i tifosi che ci hanno sempre spinto e supportato. La loro voglia di venire a vedere tutte le partite era per noi uno stimolo ulteriore. Grazie alla Sir, oggi tutta l’Umbria segue la pallavolo".
Parlando invece dell’aspetto umano, come è cambiato Aleksandar negli anni? "Quando ho firmato il primo contratto con Perugia, mai avrei pensato che si sarebbe creato un rapporto così forte e solido con l’ambiente e con la città di Perugia. I perugini sono gente molto aperta, mi hanno dato la possibilità di crescere, di diventare un giocatore più forte, hanno accettato anche i momenti bui e difficili. Personalmente, devo ammetter che all’inizio non ero abbastanza maturo, anzi ero un po' egoista, pensavo solo a voler fare tanti punti. Poi, grazie all’aiuto di tutti, ho capito cosa fosse realmente necessario per vincere e ho iniziato a crescere, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Come ho già detto, a Perugia ho vissuto dai momenti più belli della mia carriera ai momenti più cupi, come l’ottavo anno che è stata una stagione molto difficile, durante la quale non ho giocato molto, c’è stato l’infortunio e il rapporto con l’allenatore non era ottimale".
Ciò che ti lega a Perugia è anche un profondo affetto con la tifoseria. La vicinanza espressa durante gli Europei giocati proprio al PalaBarton e lo striscione dedicato alla nascita di Teo sono l’esempio più recente. "Il rapporto che si è creato con i tifosi di Perugia è incredibile. Io pensavo che lasciando la squadra, piano piano si sarebbero dimenticati di tutto quello che siamo riusciti a vivere insieme, ma loro non dimenticano mai i loro ex giocatori. Quando parlavo coi miei compagni di squadra della nazionale, durante l’Europeo, dicevo loro che non vedevo l’ora di arrivare a Perugia e giocare in quel palazzetto. Nel corso della prima partita con la Serbia, non riuscivo a credere ai miei occhi. Guardavo sempre verso la tribuna, per vedere chi fosse presente. Anche i miei compagni di nazionale sono rimasti increduli ed estasiati dall’affetto che i tifosi mi rivolgevano, dagli applausi che mi hanno dedicato nonostante fossero passati tre anni dalla mia ultima volta in quel palazzetto. Il PalaBarton per me è il palazzetto più bello del mondo, e questa non è una frase fatta, lo penso veramente, viene dal profondo del mio cuore. Come detto, il legame speciale che c’è tra di noi è stato dimostrato anche dallo striscione che hanno preparato e dedicato alla nascita di mio figlio. Quando mi sono arrivate le prime foto qui in Cina era mattina presto, mi è venuta la pelle d’oca. Ciò che mi ha fatto ancor più piacere e commuovere è stato il pensiero di voler fare quel gesto. E tutto questo vale molto di più di tutti i trofei vinti".
Dopo otto anni a Perugia, sei tornato in Polonia allo Skra Bełchatów che, nel 2011, ha rappresentato la tua prima esperienza all’estero. Quando hai capito che la pallavolo sarebbe diventata la tua vita? "Nella mia carriera, ho cambiato pochissime squadre e, per un giocatore, sapere di essere ben voluto nel club in cui ha giocato è molto importante. La vita in Polonia era sicuramente diversa rispetto a quella che vivevo in Italia, anche il livello del campionato era differente, ma il mio intento era quello di tornare e vincere con lo Skra Bełchatów, sogno che purtroppo non si è avverato. La Polonia ha rappresentato la mia prima esperienza all’estero durante la quale il mio obiettivo principale era quello di capire se la pallavolo potesse diventare la mia vita. Dopo i primi due anni allo Skra Bełchatów, ho capito che la pallavolo era il mio unico amore, sebbene mia mamma non fosse felicissima, si preoccupava sempre di quanto mi potesse far guadagnare la pallavolo, se avessi potuto vivere di pallavolo. Per lei era molto più sicuro continuare a studiare, laurearsi e trovare un lavoro che mi potesse dare una certa tranquillità economica. Alla fine, però, sono molto felice delle scelte che ho fatto e delle squadre che ho scelto. Ho avuto la fortuna di vestire maglie di squadre importanti, forti, che mi hanno permesso di vincere. Finché ci sarà la possibilità di giocare bene e di godere della meraviglia di questo sport continuerò… anche fino a 40 anni!"
foto da instagram
Ora ti trovi in Cina per disputare il campionato con lo Shangai. Qual è stata la differenza più significativa nel tuo approccio al gioco e nella vita quotidiana rispetto alle esperienze precedenti? "Quando l’anno scorso ho firmato il contratto con la squadra, qui in Cina, non sapevo bene cosa aspettarmi data la lontananza e la diversità del campionato rispetto a quelli europei ai quali ero abituato. In realtà, dopo qualche giorno, ho capito che il livello era comunque molto buono e abbastanza forte, sebbene non sia paragonabile con Italia e Polonia. La squadra è forte, stiamo giocando molto bene, siamo primi in campionato e il mio obiettivo è quello di vincere anche qui. Da qualche anno Shangai non vince il campionato, l’unica competizione che si gioca in Cina, e io voglio dare il 100% per poter riuscire a portare a casa questo obiettivo. La città è incredibile, Shangai è una città con 25 milioni di abitanti, c’è sempre qualcosa da fare, c’è sempre movimento. Devo essere sincero, qui ho trovato pace".
30 pontos do Atanasijevic na China 🇨🇳
Ele quer Paris
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Considerando la vostra esperienza nel mondo dello sport ad alto livello, quali sono i principali valori che tu ed Elitsa vorrete trasmettere a vostro figlio? "Questa domanda è bellissima. È la prima volta che mi trovo a pensare alle cose che vorrei e vorremmo trasmettere a Teo. Lui adesso è ancora piccolo, ma noi stiamo provando a crescerlo con tanto amore, cerchiamo di stare insieme il più possibile. Come detto, la distanza tra Cina e Europa non gioca a nostro favore, ma da qualche giorno Elitsa mi ha raggiunto col bimbo e si fermeranno qui fino alla fine della stagione e questo è molto importante per me. Mi trovo a ricoprire un nuovo ruolo, dove non so se sarò bravo o no, ma sicuramente metterò tutto l’amore che ho per Teo. Adesso capisco quando mi dicevano: 'vedrai, è una situazione unica'. Oggi capisco ciò che significa".
Qualche anno fa avevi dichiarato di essere iscritto alla facoltà di Giurisprudenza. Come è andata l’avventura universitaria e quanto è difficile per un atleta professionista riuscire a conciliare la vita da sportivo e la volontà di realizzarsi anche in ambito accademico? "Sì, mentre giocavo in Italia ero iscritto alla facoltà di Giurisprudenza in un’università serba. A causa degli impegni sportivi, ho dovuto cambiare ed iscrivermi ad una università privata, ma alla fine ce l’ho fatta a laurearmi. Per me era molto importante, specialmente perché sapevo che i miei genitori ci tenevano tanto. La loro preoccupazione principale era legata al mio futuro, una volta che la mia carriera sarà terminata. Io ho sempre voluto costruirmi un 'piano B', non voglio arrivare ad appendere le ginocchiere al chiodo e non sapere cosa farò domani. Voglio essere pronto e preparato per iniziare una vita nuova, diversa, che si comporrà di nuove esperienze e nuovi stimoli.
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Cosa rappresenterebbe per te Parigi 2024? "Per me e per molti miei compagni di nazionale, Parigi rappresenta un sogno non solo in termini di partecipazione ma anche di obiettivo. Ci piacerebbe tanto riuscire a puntare ad una medaglia e siamo consapevoli che questo non sarà per nulla facile. Prima di tutto perché dobbiamo ancora qualificarci, ci aspetta un mese di VNL durante il quale il focus sarà sul guadagnare più punti possibili, utili per andare a Parigi. Da quando terminerà la stagione qui in Cina, tutta la mia concentrazione sarà dedicata al provare ad andare ai Giochi Olimpici e, se ci riuscirò, darò tutto quello che ho per provare a portare a casa un buon risultato. Non c’è ancora nulla di deciso, ma le Olimpiadi potrebbero anche rappresentare l’ultimo atto della mia carriera con la maglia della nazionale serba, ma è ancora tutto molto lontano. Per ora dobbiamo giocare la VNL e focalizzarci su quello. Ciò che posso promettere è che ci proverò con tutto me stesso".
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